Giovanni

A più di una persona questo racconto ha fatto venire in mente la famosa collana Mondadori degli “Urania”; qualcuno ha perfino scomodato Asimov. Questi richiami ovviamente mi lusingano, ma, in tutta sincerità, devo confessare che la mia intenzione principale non è mai stata quella di scrivere di fantascienza.

Certo che, avendo scelto di affrontare il tema dei figli, provare anche a preconizzare il futuro, almeno in uno dei racconti, fosse pressoché inevitabile; e questa è la ragione per cui vi faccio conoscere Giovanni, il mio primo genito, solo in età ormai molto avanzata.

Avendo poi individuato quale filo conduttore dell’intero libro il cromosoma della paura, era altrettanto inevitabile che del futuro cercassi di mostrare gli aspetti di maggiore incertezza, diciamo pure di estrema incertezza.

Questo della paura è uno stato d’animo diffuso nella nostra società; all’inizio del libro cito il noto sociologo Bauman, che constata come siano coloro che vivono in un agio mai conosciuto prima, coccolati e viziati come nessuno mai nella storia dell’umanità, a sentirsi più minacciati. In effetti basti pensare come un dato positivo fondamentale, reale e incontrovertibile, come l’allungamento dell’aspettativa di vita, ci sembri trascurabile rispetto all’impossibilità di definire un futuro non solo tranquillo, ma governabile.

Il racconto dedicato a Giovanni descrive i futuri anni ‘90, ma vuole assolutamente parlare dell’oggi. Non ho dovuto usare troppa fantasia in questa mia fantascienza: ad esempio, in tema ambientale ho utilizzato ciò di cui già si parla ampiamente e che già conosciamo bene, semplicemente proiettandolo nel futuro, quando i fenomeni di cui cominciamo ad accorgerci si saranno ormai estremizzati.

E questo perché il mio vero obiettivo era descrivere il futuro per parlare del presente (in questo si, similarmente a molti scrittori di fantascienza), mettendo in evidenza tutti gli errori e le contraddizioni della nostra attuale società.

In fondo, anche l’ambientazione di tipo medioevale, presa per buona la teoria dei corsi e ricorsi storici, deriva soprattutto dal riconoscere nella società occidentale odierna delle connotazioni da basso impero. Ora, sarebbe comodo limitarci a identificare il nesso tra la nostra epoca e il disfacimento dell’impero romano con le notizie di cronaca riguardanti la nostra classe dirigente; la corruzione, il degrado morale. Primo perché questi sono elementi comuni a molte altre epoche storiche; poi perché faremmo bene, tutti quanti, a concentrarci invece sulla nostra cecità, la nostra indifferenza nei confronti delle trasformazioni in negativo di cui siamo testimoni e dei tanti segnali che ci annunciano un futuro ben poco allettante.

Perché è oggi che si sta compiendo per i nostri figli questa trasformazione da futuro-promessa in futuro-minaccia. Siamo noi ad essere molto attivi nell’inculcare ai ragazzi la percezione del futuro come insidia, piuttosto che invitarli ad entrare in società, a condividere, a conoscere; noi a determinare, come ha detto qualcuno, questo tempo delle passioni tristi. E, al tempo stesso, siamo noi ad essere completamente passivi laddove dovremmo invece intervenire concretamente, come appunto su tutte le tematiche ambientali, perché lì è reale il rischio che i nostri figli debbano vivere in un mondo peggiore di quello che abbiamo conosciuto noi; e invece tendiamo ad assumere un atteggiamento di ignavia oppure remissivo e rassegnato, dando per scontato che i veri colpevoli siano sempre solo i camorristi, gli industriali senza scrupoli e i potenti in genere.

Il famoso detto indiano, “non abbiamo ricevuto la terra in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri figli”, con tutto ciò che questo dovrebbe comportare, sembra non riguardarci.

Nel racconto, a parte la scarsa indignazione verso i disastri ambientali, grandi e piccoli, di cui oggi siamo testimoni, faccio alcuni esempi banali, estremamente limitati, ma credo comunque significativi del nostro atteggiamento passivo; rifletto per esempio su come la nostra generazione sia cresciuta in un epoca in cui ancora si poteva mangiare della frutta con un vero sapore o si poteva mangiare una mela senza sbucciarla; eppure, piano piano, quella stessa generazione si è tranquillamente e incredibilmente abituata, ha accettato, che ciò non fosse più così. Quando eravamo bambini, noi andavamo al mare e passavamo tranquillamente tutto il santo giorno a giocare sulla spiaggia, mentre oggi ci sembra naturale considerare e far considerare ai nostri figli il sole come un nemico da cui passare il tempo a difendersi.

E non parliamo poi di tutto ciò che ci è stato raccontato dalle generazioni che ci hanno preceduto, che noi non abbiamo conosciuto e che probabilmente nemmeno riferiremo alle generazioni che ci seguiranno.

Si parla di cose piccole, potremmo dire insignificanti, che non incidono direttamente sulla nostra quotidianità: a me erano familiari animali come le stelle marine o le lucciole; forse mia figlia racconterà ai suoi discendenti di aver visto le api. E’ in questo modo che, senza accorgersene, l’umanità potrebbe giungere in tempi relativamente brevi allo stato delle cose che ho descritto nel racconto.

Il racconto però, fortunatamente, vede protagoniste due distinte figure; mio figlio e mio nipote. Entrambi possiedono i miei cromosomi; entrambi hanno preferito vivere ai margini, in disparte, in questo caso non per difesa, per paura, ma per non dover condividere colpe, non avere complicità; entrambi percepiscono la loro vita di fronte ad un bivio. Il vecchio Giovanni si è ritirato in un monastero isolato e, in quel luogo, da quel punto di osservazione del mondo, ha trasformato la sua solitudine in rancore, vero e proprio odio nei confronti dei suoi simili. Mio nipote, al contrario, ha dei dubbi; anche la sua innata riservatezza è ad un bivio e, proprio dalla conversazione e dal confronto che riesce ad avere con il padre, finalmente trovato dopo tanta ricerca, comprende che “se ci salveremo, avverrà tutti insieme”, che tentare di rintanarsi autonomamente sul cucuzzolo di una montagna non gioverà a nessuno. Questa presa di coscienza avverrà in un modo in cui, lui così schivo e riservato, non avrebbe mai pensato di poter essere coinvolto; un modo che lo porterà, parafrasando un bellissimo verso della poetessa polacca Szymborska, ad abbandonare il distacco con il quale ha finora amato l’umanità, per iniziare a guardare in faccia e a voler bene alla gente.

TEMI

  • Viaggiare in treno

  • Importanza del comunicare vs. elogio della non comunicazione

  • I virus nel nostro futuro

  • Alla ricerca della procreazione perduta

  • L’acqua, il bene più prezioso

  • Se il nemico è il sole

  • E’ importante una memoria collettiva, ma indignarsi non basta

  • Fascino di un monastero

  • Cosa dovrà essere salvato in un medioevo prossimo venturo

  • Un ballo di gruppo ci salverà

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